Uso di statine ad alta potenza e tassi di ricovero per danno renale acuto
Alcune evidenze hanno indicato che l'uso di statine potrebbe portare ad effetti avversi renali.
Uno studio randomizzato e controllato con placebo su larga scala, lo studio JUPITER ( Justification for the Use of Statins in Prevention: an Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin ) ha confrontato alte dosi ( 20 mg ) di Rosuvastatina ( Crestor ) con placebo in quasi 18.000 pazienti.
I dati riportati in seguito dalla Food and Drug Administration ( FDA ) hanno mostrato un aumento non-significativo del 19% della insufficienza renale acuta ( risk ratio, RR=1.19 ).
Il rischio non-significativo è ulteriormente aumentato fino al 35% ( RR=1.35 ) quando l’endpoint finale ha incluso anche il raddoppio della creatinina sierica.
Un grande studio di coorte basato sulla popolazione di oltre due milioni di pazienti ha anche mostrato che l'uso di statine era associato ad un aumento superiore al 50% del rischio di insufficienza renale acuta, con evidenza di aumentato rischio entro il primo anno di uso delle statine, e una risposta dose-effetto.
In una monografia di prodotto della Rosuvastatina, la statina più potente, il produttore ha anche riferito insufficienza renale in alcuni pazienti che hanno ricevuto 80 mg del farmaco in studi clinici sperimentali.
Non è chiaro se la terapia con statine sia specificamente associata a maggiori effetti avversi renali.
Alla luce dei dati che alludono a una possibile dose-risposta, ricercatori del CNODES ( Canadian Network for Observational Drug Effect Studies ) hanno esplorato una possibile associazione tra statine e danno renale, confrontando i pazienti a cui sono state prescritte statine ad alta potenza con quelli a cui sono state prescritte statine a bassa potenza.
Il principale vantaggio di utilizzare una esposizione alle statine con potenza inferiore come gruppo di riferimento era l’aspettativa che una notevole quantità di confondimento non-misurato sarebbe quindi stato eliminato.
Un confronto tra potenza elevata e potenza bassa potrebbe anche fornire utili informazioni per un trattamento in cui l'uso di statine sia chiaramente supportato da evidenze di beneficio sulla mortalità totale ( per esempio, in pazienti che hanno avuto un infarto del miocardio ), ma in cui le evidenze di un beneficio incrementale dovuto alle statine ad alta potenza rispetto alle statine a bassa potenza sono discutibili.
Nello studio del CNODES, sono stati utilizzati i registri amministrativi in campo sanitario di due milioni di persone per valutare l'associazione tra il trattamento con statine ad alta potenza rispetto alle statine a bassa potenza e l’ospedalizzazione per insufficienza renale acuta in pazienti con e senza malattia renale cronica.
E’ stato trovato un significativo aumento relativo del 34% del tasso di ospedalizzazione per insufficienza renale acuta entro 120 giorni dall'inizio della terapia per i pazienti trattati con statine ad alta potenza rispetto alle statine a bassa potenza.
La perdita di alcuni pazienti al follow-up e i rischi concorrenti potrebbero anche aver contribuito a una sottostima dell'effetto.
L'analisi, che ha permesso la quantificazione del rischio in base alle diverse durate di esposizione corrente, ha indicato che il rischio è rimasto elevato per almeno due anni.
Si stima che 1700 pazienti con malattia renale non cronica devono essere trattati con una statina ad alta potenza invece di una statina a bassa potenza per 120 giorni per provocare un ulteriore ricovero per insufficienza renale acuta.
Un numero di 1700 pazienti è sufficientemente grande perché non ci siano abbastanza pazienti arruolati in studi clinici randomizzati che possano mostrare con alta precisione un'associazione tra insufficienza renale acuta e uso di statine. Tuttavia, la definizione di danno renale acuto è stata scelta per essere altamente specifica e quindi probabilmente ciò ha escluso un certo numero di pazienti con casi reali, ma più miti, che potrebbero aver sottovalutato il rischio assoluto.
Sono necessari ulteriori studi per determinare il meccanismo biologico che collega statine e danno renale.
Il rischio elevato in pazienti in trattamento con statine ad alta potenza potrebbe essere correlato a un aumento del rischio di rabdomiolisi.
Un altro meccanismo potrebbe essere la soppressione indotta da statine del coenzima Q10, un enzima liposolubile con proprietà antiossidanti. Le statine hanno dimostrato di bloccare la produzione di coenzima Q10, e studi controllati con placebo sul trattamento con coenzima Q10 in esseri umani e animali con malattia renale hanno mostrato un miglioramento della funzione renale entro 28 giorni di utilizzo.
Altri studi hanno mostrato un'associazione tra trattamento con statine e proteinuria. Dovrebbero essere contemplati anche effetti pleiotropici delle statine.
Secondo i dati dello studio JUPITER, pubblicati dalla FDA, la stima di massima verosimiglianza del rischio relativo è stata di 1.11 per qualsiasi evento renale in un follow-up medio di 1.9 anni, e 1.19 per insufficienza renale acuta. La stima del rate ratio è stata di 1.15 per insufficienza renale acuta nei pazienti trattati per uno o due anni. Per tutte le durate di trattamento nella analisi, il rate ratio medio era di 1.17, o 1.20 se il trattamento passato veniva escluso.
La compatibilità di tali risultati con l’ipotesi, il loro accordo con la stima di massima verosimiglianza osservato nel grande studio JUPITER e l'alto grado di precisione ottenuto dalla popolazione in studio hanno dato insieme un sostegno significativo a questo aumento del rischio.
La somiglianza tra questi risultati e quelli di altri studi epidemiologici è mista.
Uno studio multicentrico sull’uso di statine e danno renale acuto nei pazienti con polmonite acquisita in comunità ( CAP ) ha riportato un odds ratio ( OR ) di 1.32 per insufficienza renale acuta in pazienti con polmonite acquisita in comunità che hanno ricevuto le statine rispetto ai pazienti mai trattati con statine.
Per contro, una meta-analisi di quattro studi osservazionali di Rosuvastatina, volti a studiare molteplici esiti che comprendevano insufficienza renale, non ha riportato alcuna differenza tra Rosuvastatina e altre statine.
Questa meta-analisi è impossibile da interpretare dal punto di vista della potenza delle statine, in quanto i pazienti di controllo hanno ricevuto altre statine tutte di differenti potenze.
È anche importante notare che la maggior parte dei trattamenti con statine negli studi randomizzati era di bassa potenza.
Lo studio JUPITER ha mostrato che circa 450 pazienti hanno avuto bisogno di essere trattati con Rosuvastatina 20 mg al giorno, invece che con placebo per due anni, per prevenire un decesso per infarto del miocardio, ictus o malattie cardiovascolari ( endpoint combinato ).
Resta da dimostrare se il numero necessario da trattare per trarre beneficio dalle statine ad alta potenza invece che dalle statine a bassa potenza ( rispetto a placebo ) possa superare il rischio combinato di danno renale acuto, rabdomiolisi e diabete mellito.
In una meta-analisi di studi clinici sulle statine, i Cholesterol Treatment Trialists ( CTT ) hanno riferito che un più intenso trattamento con statine nella prevenzione secondaria è stato associato a una riduzione dello 0.3% del rischio assoluto di eventi coronarici maggiori ogni anno di trattamento, rispetto a un trattamento con statine meno intensivo su una media di 5 anni.
Alcuni hanno sostenuto che una riduzione del rischio assoluto dello 0.3% per anno sopravvaluta quello che ci si può aspettare nella pratica clinica tipica.
È importante sottolineare che gli studi che hanno confrontato un trattamento più intensivo con un trattamento meno intensivo inclusi nella meta-analisi CTT erano per lo più confronti di una statina particolare a basse dosi rispetto al dosaggio più alto possibile di quella stessa statina.
In realtà, i medici non avrebbero scelto tra, ad esempio, 10 mg di Atorvastatina e 80 mg di Atorvastatina.
Dato che è probabile che una piccola grandezza di benefici cardiovascolari incrementali derivi da statine ad alta potenza rispetto alle statine a bassa potenza, nella realtà, una domanda pressante è come identificare i pazienti per i quali il rischio-beneficio per il trattamento con statine ad alta potenza è sfavorevole. ( Xagena2013 )
Dormuth CR et al, BMJ 2013; 346: f880
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